Marlene Dietrich

Marlene Dietrich

nata il 27.12.1901 a Berlin-Schöneberg, Germania

morto il 6.5.1992 a Paris, Francia

Marlene Dietrich

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Marlene Dietrich

Marie Magdalene "Marlene" Dietrich (Berlino, 27 dicembre 1901  Parigi, 6 maggio 1992) è stata un'attrice e cantante tedesca. Fra le più note icone del mondo cinematografico della prima metà del Novecento, la Dietrich fu un vero e proprio mito, una diva, lasciando un'impronta duratura attraverso la sua recitazione, le sue immagini e l'interpretazione delle canzoni (arricchite da una voce ammaliante e sensuale). Un mix, raramente ripetuto dopo di lei, che è sufficiente a farla entrare nella leggenda dello show business quale modello di femme fatale per antonomasia.

Il suo mito nacque e si sviluppò in contrapposizione a quello della divina Greta Garbo, entrambe star di punta di due compagnie di produzione rivali.

Biografia

I primi successi

Nacque a Schöneberg, oggi quartiere di Berlino, il 27 dicembre 1901, da Louis Erich Otto Dietrich (ufficiale militare prussiano) e da Elisabeth Josephine Felsing (figlia di un gioielliere), anche se lei stessa dichiarò più volte di essere nata nel 1904. Dal 1907 al 1919 frequentò le scuole di Berlino e di Dessau: a quattro anni iniziò a studiare il francese, l'inglese, il violino (in seguito anche con Friedrich Seitz) e il pianoforte. A causa di uno strappo ai legamenti di un dito della mano fu costretta a interrompere lo studio della musica strumentale e si diplomò come cantante all'Accademia di Berlino.

Nel 1922 iniziò a calcare i palcoscenici dei teatri di Berlino (Großes Schauspielhaus Berlin) e lavorò con il regista Max Reinhardt, ottenendo piccole parti in alcuni film muti. Il 17 maggio 1923 sposò Rudolf Sieber, un aiuto regista, e un anno dopo nacque la figlia Maria Elisabeth. Nel 1929 arrivò la sua prima interpretazione da protagonista nel film Die Frau nach der man sich sehnt.

L'angelo azzurro

Nell'ottobre dello stesso anno firmò il contratto per interpretare il film che le diede la fama, L'angelo azzurro, con la regia di Josef von Sternberg, tratto da un romanzo di Heinrich Mann, fratello del più famoso Thomas.

In questo film, che è anche il primo film sonoro del cinema tedesco, la si vede sfoderare un tocco di perversa sensualità ed interpretare la famosa canzone Lola Lola. Le pellicola venne girata in versione multipla, in tedesco e in inglese. I costumi furono disegnati da lei stessa (in seguito saranno disegnati dal sarto Travis Banton). È in questo periodo che il regista Sternberg la convinse a farsi togliere quattro molari e la mise a dieta ferrea per darle un aspetto più "drammatico".

Il giorno dopo la prima de L'angelo azzurro, la stampa berlinese la proclamò una star, capace di mettere in secondo piano anche la prova recitativa del grande attore Emil Jannings, ma l'attrice in quel momento era già sul transatlantico che la portava in America.

La gloria a Hollywood

Mentre il regista stava ancora montando la versione definitiva la Paramount, che distribuiva negli Stati Uniti L'angelo azzurro, il 29 gennaio 1930 telefonò alla nuova stella e le offrì un contratto di sei anni con uno stipendio iniziale di 500 dollari a settimana e aumenti fino a 3.500 al settimo anno[1]. L'attrice accettò, ma riuscì ad inserire nel contratto una clausola accessoria importante, che si rivelerà onerosa per lo studio: quella di poter scegliere il regista dei suoi film, una condizione maturata per paura di perdere la collaborazione di von Sternberg.

Sul viaggio in transatlantico incontrò Travis Banton, il costumista con il quale collaborò sempre, con il quale aveva in comune l'ammirazione per Sternberg e una straordinaria resistenza fisica alla fatica. Fu in questo periodo che venne scattata la famosa foto di Marlene vestita da yachtman, scattata da Sternberg stesso, che venne diffusa dalla Paramount con la frase di lancio dell'immagine divistica di Marlene: "La donna che perfino le donne possono adorare". Il glamour di quella immagine spazzò via tutte le remore della Paramount che invano aveva tentato di proibirle di mostrarsi in pantaloni: a quell'epoca, indossare vestiti di foggia maschile per una donna era un atto quasi sovversivo.

Marlene Dietrich arrivò così a Hollywood il 2 aprile 1930, dove si rifugeranno dopo il 1933 anche alcuni tra i migliori attori, registi e tecnici del cinema tedesco dell'epoca, in fuga dal nazismo, come Fritz Lang. La Paramount la mise in contrapposizione a Greta Garbo, la star scandinava della MGM. La diva tedesca aveva anche il dono del canto, il che le dava una carta in più nel cinema sonoro.

La Dietrich iniziò quindi a recitare in una serie di film memorabili girati dal suo regista di fiducia, Sternberg, e fotografata solo e soltanto da Rudolph Maté, che le creò quell'immagine di graffiante ma raffinata sensualità che la consegnò alla popolarità mondiale.

Il primo film americano fu Marocco, nello stesso 1930 (ottobre), nel quale cantava due canzoni e che le valse la nomination all'Oscar come migliore attrice. Marocco uscì negli Stati Uniti prima de L'angelo azzurro (dicembre 1930) e nel marzo 1931 arrivava nelle sale già Disonorata: in pochi mesi era già diventata una star cinematografica mondiale.

In Marocco restò famosa la sua performance canora vestita da uomo e il bacio con una donna del pubblico, il primo bacio omosessuale della storia del cinema. Per Shanghai Express (1932) venne accuratamente studiato il suo look: vestiti neri che la snellissero e piume nere di gallo da combattimento. L'anno dopo Sternberg si rifiutò di dirigerla ne Il Cantico dei Cantici, ma le suggerì comunque di chiedere Rouben Mamoulian, cosa che lei fece puntualmente in virtù della sua libertà contrattuale in merito alla scelta dei registi.

I film successivi più celebri sono tutti declinazioni su sfondo fantasiosamente esotico della sua immagine di diva, come era successo in Marocco: la Russia con L'imperatrice Caterina, la Spagna con Capriccio spagnolo (1935), che fu l'ultimo film nel quale collaborò con Sternberg. Per quest'ultimo film essa voleva dare una sfumatura mediterranea al personaggio di Conchita e cercò di scurirsi gli occhi, usando un collirio per dilatare le pupille. Non riuscendo però a muoversi sul set confessò a Sternberg la sua cattiva trovata ed egli la rassicurò: con un pezzo di carta che copriva una parte del riflettore che illuminava il suo primo piano riuscì a darle la sfumatura bruna cercata[2].

La professionalità e la determinazione della Dietrich sul set erano proverbiali. Con la disciplina essa pretendeva da sé stessa un'interpretazione perfetta, che andasse a coprire qualche pecca sul profilo dell'interpretazione drammatica. In Capriccio spagnolo, ad esempio, Sternberg aveva ideato la scena di presentazione di un personaggio, con il primo piano di un palloncino che scoppia e mostra il volto della diva. Le venne richiesto di restare impassibile allo scoppio del palloncino, evitando il riflesso naturale di sbattere almeno le palpebre: essa si sottopose a prove estenuanti, ma alla fine riuscì ad eseguire, come sempre, la corretta performance[3].

Il grande successo in USA e la cittadinanza

Nel 1934 arrivò a guadagnare 350.000 dollari l'anno, una cifra astronomica che la rendeva una delle persone più ricche degli Stati Uniti[4]. Quello stesso anno fece un viaggio in Europa.

I suoi familiari la seguirono poi nell'avventura americana, anche se ormai viveva separata dal suo unico marito che conviveva con una sua ex-amica; del resto erano innumerevoli le avventure che si concedeva con amanti di ambo i sessi: la sua era una vita che molti definivano scandalosa. Il rapporto con Sternberg era molto teso: entrambi si sfidavano continuamente e arrivavano ad aggredirsi verbalmente durante le riprese[5]. La rottura definitiva avvenne nel 1935, soprattutto per volontà di lui. La sua immagine comunque restò ancorata a quella creata da Sternberg. Dopo sette anni di permanenza negli USA ottenne la cittadinanza.

Con gli Stati Uniti collaborò durante la seconda guerra mondiale e dal 1944 tenne spettacoli di intrattenimento per le truppe americane e portando la sua arte in Nord Africa e in Europa negli ospedali da campo: cantava con testo in inglese - e con indosso un'uniforme di sua creazione - la canzone tedesca Lili Marleen, che sarebbe poi diventata il suo inno.

Dal 1954, quando la carriera cinematografica era in declino, su consiglio del commediografo Noel Coward, che ne fu l'organizzatore, si esibì in spettacoli in cui cantava le canzoni dei suoi film ed intratteneva il pubblico con monologhi estemporanei. Lo show fu portato in giro per tutto il mondo con grande successo e con lauti compensi.

Ma alla fine degli anni cinquanta diede ancora due grandi prove d'attrice nei classici Testimone d'accusa di Billy Wilder e L'infernale Quinlan di Orson Welles.

Il tramonto

Il suo ultimo film fu Gigolò, interpretato accanto a David Bowie.

Nel 1984 l'attore Maximilian Schell le dedicò un film-intervista, Marlene,[6] . Non camminava già quasi più a causa di una frattura al femore, provocata da una caduta in bagno . Per non far conoscere le sue condizioni si presentò all'intervista su una sedia a rotelle, dichiarando di aver preso una storta ad una caviglia. Inoltre pretese ed ottenne dal regista di non apparire, se non in materiale di repertorio, e di far solamente udire la sua voce. Secondo alcune fonti, l'artista complicò la sua salute per la prima volta, nel 1972 durante uno spettacolo al Queen's Theatre di Londra cadendo dopo un'uscita di scena. Ad aggravare ancora di più la situazione, un'altra caduta avvenuta durante un'esibizione tenutasi ad Ottawa in Canada e, successivamente, quella dell'ultima apparizione pubblica a Sydney, in Australia, nel 1975, che la costrinsero al ritiro definitivo dalle scene.[7]

Marlene morì dopo circa otto anni di immobilizzazione a letto, il 6 maggio 1992. La lunga degenza era stata accompagnata da fasi depressive acute. Il decesso fu attribuito ufficialmente ad un infarto che la colpì nel sonno, .

La camera ardente fu aperta al pubblico sin dal giorno della sua morte, nella Chiesa della Madeleine a Parigi e venne, successivamente, spostata in Germania e sepolta il 16 maggio nel cimitero di Berlino, accanto alla madre.[8]

L'immagine della Diva

L'immagine di diva di Marlene Dietrich venne modellata da von Sternberg, che la tratteggiò con efficacia nelle sette regie dei primi anni trenta, e che poi venne replicata all'infinito, anche nelle sue performance canore dal vivo. La sua immagine era essenzialmente quella di donna fatale, trasgressiva, dominatrice, altera e fiera, ma il tratto più originale era il rapporto duplice e ambiguo che Marlene poteva avere con entrambi i sessi, trattato in maniera molto esplicita e spavalda. Anche la Garbo aveva un'androginia (), ma il suo personaggio era più spirituale e psicologico, sempre legato all'erma bifronte di donna fredda e calcolatrice o eroina romantica. Marlene era invece "La donna che perfino le donne possono adorare".

La figlia della Dietrich riportò come fin dal primo incontro con Sternberg sua madre avesse colpito subito il regista, che prima di farla cantare in inglese le fissò personalmente gli spilli al vestito e le sistemò i capelli. Nei film tedeschi la Dietrich non si riteneva fotogenica, ma Sternberg riuscì a renderla ancora più bella.

In Marocco venne ripresa dall'operatore Lee Garmes[9], che la seguì anche nei tre film successivi. La luce che creò per esaltare la sua immagine era un morbido flou, con luce da nord alla Rembrandt, in maniera da valorizzare i suoi zigomi. Le scene girate di notte inoltre erano illuminate come in pieno giorno. La collaborazione tra Sternberg, Banton, Garmes e la stessa Dietrich crearono la sua immagine che divenne leggendaria. Secondo le lettere che essa scrisse al marito a proposito di Marocco, Sternberg giocò con la luce creando un'aureola con le punte dei capelli illuminati, scavando le sue guance con le ombre, ingrandendole gli occhi. Ma Marlene non era un soggetto passivo nelle mani del regista e dei collaboratori: anch'essa era un soggetto attivo nella creazione della sua immagine, dalla quale traspariva anche un forte autocompiacimento: accanto alla cinepresa essa faceva sempre sistemare un grande specchio semovente dove controllava la sua figura. Sternberg le scrisse: «Hai permesso alla mia macchina da presa di adorarti e a tua volta hai adorato te stessa».[10]

Un problema di immagine nacque quando, nel 1931, la Dietrich fece portare a Hollywood sua figlia: la Paramount era infatti preoccupata che l'immagine di donna fatale cozzasse con quella di madre. Ma allora venne l'intuizione, poi usata per moltissime star, di mescolare il materiale biografico per diffondere, tramite i periodici, l'immagine della persona-star. La Dietrich, come scrisse poi sua figlia, venne presentata come una "Madonna": «Certo la Metro non sarebbe riuscita a trovare una figlia a Greta Garbo dall'oggi al domani!»[11].

L'immagine venne rafforzata da film basati sul suo personaggio fino a Capriccio spagnolo (1935), quando terminò la collaborazione con Sternberg. La sua immagine venne perpetrata identica anche nei film successivi, ma all'abbandono del maestro essa iniziò a potenziare la propria immagine mediatica. Se prima evitava la mondanità hollywoodiana, dopo il 1935 vi si gettò a capofitto, con il fedele sarto Travis Banton a disegnarle i costumi, oltre che per il set, anche per le esibizioni in pubblico. Mitico è rimasto il party in costume dove si presentò vestita da Leda, disegnando una vera icona camp: si presentò con i riccioli corti, alla greca, e inguainata da un vestito di chiffon bianco con piume che le ricoprivano la metà del corpo e una testa di cigno appoggiata sul seno; la accompagnava una sua amante-attrice vestita "da Dietrich", cioè con il cappello a cilindro e il frac.

Rifiuto del nazismo e rapporti con la Germania

Il rapporto con la sua patria di origine fu un dramma della sua vita. Marlene, profondamente legata alla sua identità tedesca ("Grazie a Dio, sono nata a Berlino" disse più volte) non perdonava alla Germania il regime nazista e anche se Goebbels e Hitler (che la corteggiò a lungo) avrebbero voluto che diventasse una delle grandi rappresentanti del nazismo, lei rifiutò sempre ogni proposta in tal senso.

Marlene Dietrich durante la guerra, ormai cittadina americana, accentuò la propria opposizione alla Germania nazista, con una esplicita testimonianza che giunse ad accompagnare le truppe alleate, con le proprie esibizioni, sia in Nord Africa che sul suolo europeo. La fama della canzone Lili Marleen e dell'interprete fu di tale dimensione da divenire l'immagine di universalizzazione del conflitto, per gli Alleati, proponendo l'idea di una guerra, non contro le potenze dell'Asse ma per la democrazia e la libertà.

Prima donna della storia, ricevette la Medal of Freedom, massima onorificenza civile concessa negli Stati Uniti d'America[12] nel 1947. Ella dichiarò che considerava quello il riconoscimento di cui andava più fiera. Nel 1950 fu anche insignita della Legion d'onore dal governo francese come riconoscimento della sua testimonianza per la democrazia in tempo di guerra.

Ancora molti anni dopo la fine della seconda guerra mondiale la valutazione della Dietrich è controversa in Germania. Alcuni suoi compatrioti la ritennero una "traditrice" della patria. Quando l'attrice tornò in Germania nell'ambito di una grande tournée in giro per il mondo, nel 1960, durante una sua performance al "Berlin's Titania Palast theatre", alcuni protestarono, scandendo: "Marlene Go Home!". D'altra parte, la Dietrich fu calorosamente accolta da altri tedeschi, fra i quali il Sindaco di Berlino Willy Brandt, che era stato, come la Dietrich, un oppositore del nazismo costretto all'esilio. Quella fu l'ultima volta che l'artista si recò in Germania. Più volte poi, dopo la morte, la sua tomba fu oggetto di vandalismi, da parte di neonazisti.

In un'occasione Marlene Dietrich disse che a volte sentiva una responsabilità personale, perché se avesse accettato le offerte sessuali di Hitler forse sarebbe riuscita a cambiare il modo di vedere del dittatore e a evitare la guerra mondiale.[13] Nel 1996, dopo un acceso dibattito, venne deciso dalle autorità locali di Berlin-Schöneberg, il suo paese di nascita, di non intitolarle una strada. Ma l'8 novembre 1997, venne intitolata a lei la centrale "Marlene-Dietrich-Platz" a Berlino. La motivazione recita: «Berliner Weltstar des Films und des Chansons. Einsatz für Freiheit und Demokratie, für Berlin und Deutschland» ("Star berlinese nel mondo, per il cinema ed il canto. Impegnata per la libertà e la democrazia, per Berlino e per la Germania").

Dietrich venne dichiarata cittadina onoraria di Berlino il 16 maggio 2002. Nel suo "memoriale" è scritto:

  • "Tell Me, Where the flowers are?" ("Ditemi, dove sono andati tutti i fiori?")

Il verso dell'epigrafe si richiama al titolo della canzone antimilitarista resa celebre in tutto il mondo da Pete Seeger e Joan Baez e ricorda che la Dietrich fu la prima a interpretarla in tedesco. La negazione della guerra fu sempre presente nelle sue convinzioni e la portò a eseguire la canzone di Bob Dylan Blowin' in the Wind, nel 1963.

Vita privata

Grande scrittrice di lettere e diari, ha raccolto nella sua casa di Parigi circa 300.000 testimonianze della sua vita. Marlene Dietrich era atea (cfr. "Le Regine del Cinema", Gremese editore, intervista del 28/06/1963 a Roma).

Dichiaratamente bisessuale, la Dietrich ebbe molti amanti famosi, sia nel mondo del cinema che tra scrittori famosi, fra i quali Hemingway. Ebbe anche molti amici tra gli omosessuali: le donne erano affascinate da lei e gli uomini ammaliati dal suo fascino.

Fu in seguito legata anche allo scrittore Erich Maria Remarque, il cui amore non era tuttavia ricambiato. Lo scrittore era molto geloso di Jean Gabin, reduce da una lunga relazione con l'attrice; nonostante questo, Remarque e la Dietrich ebbero anche in seguito una lunga corrispondenza (ma le lettere inviate dall'attrice allo scrittore sono state quasi tutte distrutte dall'ultima moglie di Remarque, l'attrice Paulette Goddard).

Parlava l'inglese, il francese e l'italiano. Amava l'Italia, dove soggiornava per brevi vacanze lontana da tutti. Ad Avesa, allora comune autonomo alle porte di Verona, trascorse un periodo da una sua amica artista alla fine degli anni Trenta.[14]

A breve distanza una dall'altra, fra il 1979 e il 1984, pubblicò due autobiografie, la seconda delle quali intitolata laconicamente Marlene D.. È stata la prima donna a farsi assicurare le gambe, stipulando un contratto con la società londinese Lloyd's.

Premi e riconoscimenti

  • 1931 - nomination all'Oscar alla miglior attrice (Marocco)
  • 1958 - nomination Golden Globe (Testimone d'accusa)
  • 1962 - David di Donatello (Vincitori e vinti)
  • 1980 - German Film Awards (alla carriera)

Omaggi

.

Suzanne Vega, nella sua canzone Marlene on the Wall, cita e omaggia l'attrice, ricordando nel testo della canzone la fotografia della Dietrich che era appesa nella sua stanza durante la sua adolescenza.

Peter Murphy le dedica una sentimentale poesia nel brano Marlene Dietrich's Favourite Poem.

La raffinata immagine di Freddie Mercury nella copertina dell'album Queen II del 1974 è ispirata a una famosa foto di Marlene Dietrich.

Francesco De Gregori cita "Lili Marlene" nel suo brano Alice.

I Marlene Kuntz si sono ispirati al nome di Marlene Dietrich.

Il nome di Marlene Dietrich viene citato anche in una canzone scritta da Franco Battiato dal titolo Alexanderplatz.

Innumerevoli, dopo la sua scomparsa, sono stati e continuano ad essere i lavori cinematografici, televisivi, radiofonici e teatrali a lei ispirati. Il più noto è Bugsy di Barry Levinson - iniziato a girare quando la Dietrich era ancora in vita - con Warren Beatty, Elliott Gould, Harvey Keitel, Ben Kingsley e Joe Mantegna, che uscì pochi mesi prima della scomparsa della diva. Il suo ruolo - e sarà la prima volta che Hollywood porta sullo schermo il personaggio Marlene Dietrich - era interpretato dall'attrice/cantante croato-americana Ksenija Prohaska. La quale, dal 1999 sino ad oggi (2011) sta portando in scena in tutto il mondo in diverse lingue il monoshow con musiche dal vivo intitolato semplicemente Marlene Dietrich, che le ha fruttato numerosi riconoscimenti tra cui il Premio Adelaide Ristori, conferitole dal Mittelfest diretto da Moni Ovadia.

Nel 2000 la vita di Marlene Dietrich fu portata sullo schermo in una co-produzione italo-tedesca dal regista tedesco Joseph Vilsmaier con il titolo Marlene, nel quale la parte della protagonista è interpretata dall'attrice tedesca Katja Flint.

Onorificenze

Presidential Medal of Freedom

Ordine di Leopoldo

 1963

Ufficiale della Legion d'Onore

 1971

Commendatore della Legion d'Onore

 1989

Cavaliere dell'Ordine della Legion d'Onore

 Francia[15]
  • Cittadinanza Onoraria di Berlino (postuma; 2002)

Filmografia

  • Im Schatten des Glücks, regia di Robert Leffler (1919)
  • Tragödie der Liebe, regia di Joe May (1923)
  • So sind die Männer, regia di Georg Jacoby (1923)
  • Der Mensch am Wege, regia di William Dieterle (1923)
  • Der Mönch von Santarem, regia di Lothar Mendes (1924)
  • Der Sprung ins Leben, regia di Johannes Guter (1924)
  • Der Tänzer meiner Frau, regia di Alexander Korda (1925)
  • Manon Lescaut, regia di Arthur Robison (1926)
  • Madame wünscht keine Kinder, regia di Alexander Korda (1926) (non accreditata)
  • Der Juxbaron, regia di Willi Wolff (1927)
  • Eine Dubarry von heute, regia di Alexander Korda (1927)
  • Kopf hoch, Charly!, regia di Willi Wolff (1927)
  • Sein größter Bluff, regia di Henrik Galeen e Harry Piel (1927)
  • Café Elektric, regia di Gustav Ucicky (1927)
  • Prinzessin Olala, regia di Robert Land (1928)
  • Il bacillo dell'amore (Ich küsse Ihre Hand, Madame), regia di Robert Land (1929)
  • Enigma (Die Frau, nach der man sich sehnt), regia di Curtis Bernhardt (1929)
  • La nave degli uomini perduti (Das Schiff der verlorenen Menschen), regia di Maurice Tourneur (1929)
  • Gefahren der Brautzeit, regia di Fred Sauer (1930)
  • L'angelo azzurro (Der Blaue Engel), regia di Josef von Sternberg (1930)
  • Marocco (Morocco), regia di Josef von Sternberg (1930)
  • Disonorata (Dishonored), regia di Josef von Sternberg (1931)
  • Shanghai Express, regia di Josef von Sternberg (1932)
  • Venere bionda (Blonde Venus), regia di Josef von Sternberg (1932)
  • Il cantico dei cantici (The Song of Songs), regia di Rouben Mamoulian 1933)
  • L'imperatrice Caterina (The Scarlet Empress), regia di Josef von Sternberg 1934)
  • Capriccio spagnolo (The Devil Is a Woman), regia di Josef von Sternberg (1935)
  • Ho amato un soldato (I Loved a Soldier), regia di Henry Hathaway (1936)
  • Desiderio (Desire), regia di Frank Borzage (1936)
  • Il giardino di Allah (The Garden of Allah), regia di Richard Boleslawski (1936)
  • La contessa Alessandra (Knight Without Armour), regia di Jacques Feyder (1937)
  • Angelo (Angel), regia di Ernst Lubitsch (1937)
  • Partita d'azzardo (Destry Rides Again), regia di George Marshall (1939)
  • La taverna dei sette peccati (Seven Sinners), regia di Tay Garnett (1940)
  • L'ammaliatrice (The Flame of New Orleans), regia di René Clair (1941)
  • Fulminati (Manpower), regia di Raoul Walsh (1941)
  • La signora acconsente (The Lady Is Willing), regia di Mitchell Leisen (1942)
  • I cacciatori dell'oro (The Spoilers), regia di Ray Enright (1942)
  • La febbre dell'oro nero (Pittsburgh), regia di Lewis Seiler (1942)
  • Kismet, regia di William Dieterle (1944)
  • Turbine d'amore (Martin Roumagnac), regia di Georges Lacombe (1946)
  • Amore di zingara (Golden Earrings), regia di Mitchell Leisen (1947)
  • Scandalo internazionale (A Foreign Affair), regia di Billy Wilder (1948)
  • Jigsaw, regia di Fletcher Markle (1949) - non accreditata
  • Paura in palcoscenico (Stage Fright), regia di Alfred Hitchcock (1950)
  • Il viaggio indimenticabile (No Highway), regia di Henry Koster (1951)
  • Rancho Notorious, regia di Fritz Lang (1952)
  • Il giro del mondo in ottanta giorni (Around the World in Eighty Days), regia di Michael Anderson (1956)
  • Montecarlo, regia di Samuel A. Taylor (1957)
  • Testimone d'accusa (Witness for the Prosecution), regia di Billy Wilder (1957)
  • L'infernale Quinlan (Touch of Evil), regia di Orson Welles (1958)
  • Vincitori e vinti (Judgment at Nuremberg), regia di Stanley Kramer (1961)
  • Insieme a Parigi (Paris - When It Sizzles), regia di Richard Quine (1964) - cameo, non accreditata
  • Gigolò (Schöner Gigolo, armer Gigolo), regia di David Hemmings (1978)
  • Marlene[16] (1984) - documentario

Film e documentari su Marlene Dietrich

  • The Fashion Side of Hollywood documentario, regia di Josef von Sternberg (1935)
  • Le dee dell'amore (The Love Goddesses) documentario di Saul J. Turell - filmati di repertorio (1965)

Doppiatrici italiane

  • Tina Lattanzi in L'angelo azzurro (ridoppiaggio 1950), Marocco, Disonorata, Shanghai Express, Venere bionda (ridoppiaggio 1951), Il cantico dei cantici, L'imperatrice Caterina, Capriccio spagnolo, Desiderio, La taverna dei sette peccati, La signora acconsente, I cacciatori dell'oro, La febbre dell'oro nero, La nave della morte, Kismet, Turbine d'amore, Paura in palcoscenico, Rancho Notorious
  • Andreina Pagnani in Angelo, L'infernale Quinlan, Testimone d'accusa, L'ammaliatrice, Passione di zingara, Venere bionda, Fulminati, Il giardino di Allah (ridoppiaggio fine anni '40), Scandalo internazionale
  • Lydia Simoneschi in Il giro del mondo in ottanta giorni, Partita d'azzardo, Il viaggio indimenticabile, Vincitori e vinti
  • Vittoria Febbi nei ridoppiaggi di Paura in palcoscenico, L'ultimo treno da Mosca, Venere bionda, Marocco
  • Paola Bacci nei ridoppiaggi di Disonorata, L'imperatrice Caterina, Desiderio
  • Maria Fiore nel ridoppiaggio de I cacciatori dell'oro
  • Pinella Dragani nel ridoppiaggio de Il cantico dei cantici
  • Cristiana Lionello nel ridoppiaggio in DVD de L'infernale Quinlan[17]

Note

  1. Jandelli, op. cit., pag. 70.
  2. Riva, op. cit., pag. 312-313.
  3. Riva, op. cit., pag. 313-315.
  4. Idem
  5. Jandelli, op. cit., pag. 73.
  6. Vedi scheda su Internet Movie Data-base
  7. A Legend's Last Years : People.com
  8. "A Berlino l'ultimo volo dell'angelo", Corriere della Sera, p. 39.
  9. Lee Garmes: Oscar per la miglior fotografia nel 1960.
  10. Riva, op. cit., pag. 73.
  11. Riva, op. cit., pag. 100.
  12. (EN) http://www.medaloffreedom.com/MarleneDietrich.htm
  13. Peter Bogdanovich. Chi c'è in quel film? Ritratti e conversazioni con le stelle di Hollywood. tradotto da Roberto Buffagni. Roma, Fandango Libri, 2008. p. 555 ISBN 978-88-6044-067-9
  14. «Le mie notti sotto le stelle con la Dietrich». L'Arena.it. URL consultato il 20 novembre 2013 .
  15. (EN)Cavaliere dell'Ordine della Legion d'Onore. NOME SITO UFFICIALE. URL consultato il 3 marzo 2012 .
  16. La Dietrich ottenne dal regista Maximilian Schell di far solo udire la sua voce, senza apparire fisicamente
  17. Fonte: doppiocinema.net

Bibliografia

  • Maria Riva, Marlene Dietrich, trad.: Roberta Rambelli, Piacenza, Frassinelli, 1993. p. 725 ISBN 88-7684-241-1
  • Cristina Jandelli, Breve storia del divismo cinematografico, coll.: Elementi, Venezia, Marsilio Editore, 2008. p. 206 ISBN 978-88-317-9299-8
  • Marlene Dietrich "Dizionario di buone maniere e cattivi pensieri", Castelvecchi editore, 2012

Altri progetti

Collegamenti esterni

  • Scheda su 0000017 dell'Internet Movie Database
  • Filmografia su AFI American Film Institute

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